Timelapse e IMOCA: sveliamo alcuni trucchetti da cantiere
I timelapse , quei filmati accelerati che spesso diventano virali sul web, hanno su di me un effetto ipnotico, figuriamoci poi i timelapse che descrivono la costruzione di una barca a vela; in questi giorni è passato più e più volte tra i miei contatti facebook un video (qui in bassa risoluzione, in full resolution lo trovate su Fb sulla pagina delle vendee globe al link sotto) che descrive la costruzione dello scafo di un IMOCA, classe di barche da regata oceaniche delle quali abbiamo già parlato in quest’articolo circa foils, appendici e analisi di stabilità di questa classe di ocean racer di 60 piedi; il filmato è davvero molto interessante perchè descrive, sebbene in maniera acceleratissima, ovviamente, il processo di costruzione di una moderna barca da regata in materiali compositi avanzati; l’intento di questo articolo è quello di “rallentare” il timelapse e descrivere alcune delle fasi salienti della costruzione, approfittando del fatto che in passato mi è capitato di lavorare su barche costruite con la stessa tecnologia , userò alcune foto estratte dal mio archivio riguardanti una barca simile (un cruiser-racer di 100 piedi), e dei fermo immagine estratti dal filmato; per chi avesse dimestichezza con i consueti cantieri delle “normali” barche in vetroresina: resettate tutto, qui è un altro mondo, un mondo di pulizia totale dentro gli stampi, di temperature e tassi di umidità davvero controllati, di container ermetici dove tenere il nomex per evitare che la polvere lo contamini, di materiali imbarcati e pesati al grammo, di test distruttivi sui pannelli in sandwich fatti prima di iniziare la costruzione per capire se stiamo nei parametri progettuali calcolati dal progettista; un affascinante impegnativo altro mondo;
https://www.facebook.com/VendeeGlobe/videos/1286893448022602/
video, secondi 00.00 – 00.15 : si vedono gli stampi femmina “usa e getta” di scafo e coperta: su queste barche al massimo 2-3 esemplari escono dagli stessi stampi, spesso ne viene fatta soltanto una, quindi non serve che gli stampi siano granchè robusti o strutturati come quelli dai quali escono le barche di serie .
lo stampo dello scafo, seste e correnti allineati anche con l’ausilio della livella laser in primo piano sul cavalletto
sempre lo stampo scafo, le superfici in compensato dove poggeranno gli strati in carbonio sono state messe al loro posto e stuccate
cos’è uno “stampo femmina” ? avete presente le formine con le quali giocavate in spiaggia o quelle con le quali fate i biscotti: ecco quelli sono stampi femmina ; in sostanza in questo caso è un modellone in legno fatto da seste perfettamente allineate e superfici di compensato che verranno stuccate sino ad avere una ottima finitura superficiale, all’interno delle quali verranno posati e fissati i tessuti di carbonio e costruiti scafo e coperta, uno stampo per ognuno; tanto lavoro di falegnameria e carrozzeria e tante tante ore di stuccatura, ben pochi segreti hi-tech, giusto uno: tutto questo “modellone” verrà poi “cotto” varie volte insieme al carbonio, vedremo dopo i dettagli, quindi tutti gli stucchi ,vernici e altri prodotti che vengono usati devono reggere temperature di almeno 80-90° senza “disfarsi”.
00.19: curiosamente la didascalia del video dice ” gli stampi sono coperti da fibra di vetro” mentre qui parliamo chiaramente di carbonio: per esser precisi in queste costruzioni su usa il cosidetto “prepreg” o “preimpregnato” , ovvero fibra di carbonio, quasi tutta unidirezionale (fibre in unica direzione allineate per lunghezza), già impregnata di resina epossidica nel quantitativo esatto necessario a saturare correttamente le fibre; la fibra di carbonio, avvolta in rotoli, è leggermente adesiva su un lato, l’ideale per essere posizionata sugli strati sottostanti e tenere la posizione, e sull’altro lato è protetta da un sottile film di plastica (quello giallo verdino che vedete al secondo 00.17) che viene rimosso quando si mette in opera lo strato successivo.
lo stampo della coperta con i primi strati di carbonio
questa immagine è presa quando i lavori sulla pelle esterna in carbonio sono chiusi e la pelle è stata già “postcurata” (cioè “cotta” a 80° in parole povere) e si inizano a posizionare alcune elementi dell’anima del sandwich, probabilmente delle zone di rinforzo in corecell ad alta densità dove verranno fissate alcune attrezzature di coperta , golfari , rotaie e simili
00.20: ta-dah, cambio di prospettiva , passiamo dallo stampo della coperta a quello dello scafo, interessante l’inquadratura di apertura con una superficie color marroncino orrendo: si tratta di una sottile pellicola di teflon adesivo (costoso parecchiotto…) che viene usata su tutta la superficie dello stampo per garantire un perfetto distacco dello scafo dallo stampo stesso quando lo si dovrà estrarre (sulle barche “normali” si usa la molto più plebea cera distaccante per stampi) ;
la superficie dello stampo scafo “teflonata” pronta per ricevere il tessuto di carbonio , e con alcune lavorazioni già iniziate nella zona della chiglia basculante, i tubi che si vedono in zona centrale sono molto probabilmente le linee della pompa a vuoto
00.24: mooolto interessante: la copertura blu che vedete è esattamente il film protettivo di un tessuto unidirezionale (fibre tutte allineate come la lunghezza del tessuto) di carbonio, posizionato a 45° circa rispetto all’asse dello scafo:le direzioni di questi strati di norma sono o per lunghezza (0°) o angolate (+/-45°) o trasversali alla barca (90°) per riuscire ad assorbire sollecitazioni provenienti da differenti direzioni (per farla spicciola), più vari strati di rinforzi locali in corrispondenza di situazioni di stress localizzati (attacchi chiglia e foils, prese d’acqua dinamiche, attacchi stralli e sartie etc.); immediatamente dopo , altro fermo immagine, si vede una strisciata gialla stesa come la lunghezza della barca, è lo strato successivo di carbonio prepreg, in grammatura differente come denuncia il differente colore (giallo-verdino) del film protettivo; nel timelapse è omessa una operazione fondamentale, chiamata “debulking” ; dopo la stesura (rigorosamente a mano) di ogni strato di carbonio, bisogna compattarlo sullo strato sottostante perché vi aderisca perfettamente e con una buona pressione, questo si fa mettendo tutta la superficie dello scafo sotto vuoto spinto (il sacco a vuoto, enorme, è quella roba celestina legata sulla murata in basso nel filmato) per un tot di ore, e in questo modo facendo aderire con la massima pressione data dal vuoto gli stati carbonio uno sull’altro; quindi ad ogni strato di carbonio corrisponde un ciclo di sottovuoto “a freddo” di alcune ore , e via , si toglie il sacco a vuoto, il film microforato protettivo , rete , linee dell’aria della pompa a vuoto e altri ammenicoli, e si mette in opera lo strato successivo, il tutto fatto a mano su una carena di circa 120 m2 , mica scherzi !
tessuto unidirezionale di carbonio prepreg steso in direzione ” -45° ” con il suo film protettivo azzurrino (le pellicole protettive cambiano colore con la grammatura di solito)
un sucessivo strato in carbonio, diversa grammatura e diversa orientazione , questa e ” 0° ” in gergo, ovvero orientata come la lunghezza della barca
00.35 : torniamo allo stampo della coperta, nel timelapse passiamo ora ad estrarre la coperta dallo stampo, si sono zompate un bel pò di operazioni, in particolare la stesura dell’anima del sandwich e della pelle successiva interna in carbonio;
in pratica in queste costruzioni si iniziano le operazioni dalla pelle esterna del sandwich, composta, per dire, da 6-7 strati di carbonio prepreg, poi si cuoce letteralmente il tutto; e sì, perché il bello del prepreg è che ogni pelle deve essere “cotta” portando la temperatura di tutto lo stampo e dell’aria circostante a circa 80° per un bel po’ di ore ; per fare questo si costruiscono scafo e coperta dentro delle zone del cantiere che possono essere chiuse con pannelli isolanti e portate in temperatura (noi usavamo per una barca da 100 piedi dei bruciatori a gas per mandare in temperatura un volume di circa 3000 m3) e tenute monitorate con termometri vari sparsi sullo stampo collegati ad un computer che pilota tutto il sistema portando in temperatura il forno con una sequenza precisa , tenendocelo e raffreddando poi con una rampa di raffreddamento precisa (tot gradi in tot ore) data dai produttori di carbonio e resina; la cottura fluidifica la resina che scorre da uno strato all’altro, l’eccesso di resina (poco) viene portato via dal sottovuoto che nel frattempo tiene tutto sotto la massima pressione , quando la temperatura viene abbassata la resina gelifica e catalizza indurendosi, sempre sotto pressione; il risultato è un manufatto compattissimo e leggero con il minimo contenuto di resina necessario a tenere insieme il carbonio e non un grammo in più, con prestazioni meccaniche impressionanti; dopo la cottura della pelle esterna e il raffreddamento (in cantiere si lavora con un piacevole tepore residuo per un bel pò di ore) si passa a stendere ed incollare l’anima del sandwich; di norma in queste costruzioni si usano sia corecell (una schiuma ad alta densità in lastre di 10-50 mm di spessore) che nomex (un nido d’ape di kevlar, vedi foto) che vanno incollati alla pelle in carbonio, anche qui grazie alla pressione esercitata da sotto vuoto ; dopo di che altra cottura, e altro giro di lavori per la pelle interna in carbonio, e cottura finale del tutto, sia per lo scafo che per la coperta;
nomex ( a sinistra, nomes, crocee delizia da lavorare) e corecell (il materiale giallo a destra, tecnicamente è un Stirene Acril Nitrile), una schiuma estremamente compatta in lastre, sono i materiali principe per le anime dei pannelli in sandwich (scafo, coperta e strutture interne) in queste costruzioni high-tech; laminati con pelli interne e ed esterne in carbonio prepreg danno vita a dei panelli rigidissimi, molto resistenti ed estremamente leggeri; il nomex è in buona sostanza un materiale a nido d’ape di “foglietti” di fibre simili a carta, ma a base di kevlar, è leggerissimo ed ha una resistenza allo schiacciamento inpressionante quando chiuso tra due “pelli” di carbonio.
il “supertavolo” dove vengono costruite le paratie strutturali e altre parti , anche queste in sandwich di carbonio e nomex, sottovuoto e con cicli di cottura, come scafo e coperta .
00.35: la coperta viene estratta dallo stampo, girata e messa al dritto su dei supporti provvisori: ora si procede ad installare tutte quelle attrezzature di coperta che è molto più comodo installare prima di assemblare scafo e coperta (si arriva più facilmente sotto ogni parte della coperta, anche in posti dove più tardi sarà difficile arrivare), e si vernicia tutta la coperta di bianco.
coperta estratta, ruotata e verniciata di bianco, si iniziano ad installare i fittings e le ettrezzature di di coperta
00.40 : la coperta viene posizionata e giuntata allo scafo nel quale nel frattempo si è proceduto ad installare tutte le strutture interne, paratie, correnti longitudinali e un tot di strutture di rinforzo (vedi frame riportato, si vedono perfettamente buona parte delle strutture interne di rinforzo nella zona di prua e centrobarca ; tutte queste strutture sono a loro volta fatte in prepreg di carbonio e laminate e cotte su apposti “super tavoli” o appositi stampi, tuitti comunque predisposti con un “cappotto“ isolante per i cicli di cottura e studiati per potervi fare il vuoto per i processi di compattazione e cottura, il tutto contemporaneamente alla produzione di scafo e coperta, per abbreviare i tempi, che in questo genere di costruzioni sono sempre molto stretti; insomma operazioni da ripetere continuamente centinaia di volte prestando la massima attenzione alle temperatura e ai tempi di cottura e alla perfetta tenuta del sotto vuoto affinché tutto abbia le massime prestazioni meccaniche , per ogni singolo processo produttivo e per ogni pezzo che andrà a a bordo; un lavoro che mi piace definire come “artigianato hi-tech” dove le capacità manuali e l’esperienza di ogni singolo e un utilizzo perfetto della tecnologia marciano di pari passo.
la coperta viene portata sullo scafo, dove tutte le strutture di rinforzo interne sono gia state incollate e laminate con fascettature in tessuti carbonio , un lavoro fatto di precisione millimetrica, pulizia e precisione
00.45 – fine : si installano le attrezzature di coperta mancanti, i sistemi di bordo e l’elettronica di navigazione, fondamentali su queste “astronavi a vela” e si applica la pellicola della colorazione sullo scafo bianco (è preferita ai cicli di verniciatura per velocità, possibilità di applicare motivi grafici complessi e facilità di applicazione ), la barca è ormai pronta a essere armata con albero e chiglia basculante e andare in acqua per i primi test
il gigantesco scafo di un cruiser racer di 100 piedi (30 metri e spiccioli) , il lavoro sul “guscio” dello scafo è terminato, ma si è ben lungi dalla fine ell’opera
una ultima nota: nel video sono condensate in un minuto, 60 secondi, 30000 (TRENTAMILA !!! ) ore di lavoro di una squadra di una ventina e più di artigiani e tecnici specializzati; spero di essere riuscito con queste spiegazioni a farvi entrare per un po’ in cantiere con loro, a capire con quale cura, attenzione e dedizione hanno lavorato per realizzare l’astronave a vela che vedete sotto.